Condivisione, dialogo o tolleranza? Oltre la guerra civile in Sri Lanka

Al Dipartimento di Scienze politiche e sociali si è tenuto un convegno internazionale nell’ambito del progetto di ricerca “Rimigra: Rituali e migranti nel Sud Italia”.

Chiara Aiello

Quando pensiamo alla guerra civile in Sri Lanka ci vengono in mente le atrocità ad essa legate, come i bombardamenti, i morti, gli eccessi dei diversi schieramenti politico-militari. 

«Più raramente ci soffermiamo sugli effetti di normalizzazione della violenza che la guerra produce nella vita quotidiana. E ancora meno pensiamo alle condizioni in cui, anche in un clima di belligeranza e conflittualità, si sviluppano relazioni di convivenza o occasioni di coabitazione pacifica. In queste giornate di convegno siamo partiti da alcune domande di fondo, per esempio: che ruolo giocano la religiosità e il rituale in questi due sensi, non solo nell’alimentare i conflitti, ma anche nel distenderli o stemperarne la portata? E come le dinamiche di violenza o le esperienze di convivenza tra gruppi etnico-religiosi si riverberano nello spazio della migrazione, coinvolgendo anche le popolazioni che fuggono da contesti di guerra?».

A spiegarlo è la coordinatrice del progetto per l’Università di Catania, l’antropologa Mara Benadusi, proprio in apertura del convegno, che non a caso ha come titolo Religiosity, Violence, Political Recomposition – Reflections from Sri Lanka and its Diasporas.

L’iniziativa si è svolta nei giorni scorsi al Palazzo Pedagaggi (tra il 6 e il 7 novembre), al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, come esito delle ricerche promosse nell’ambito del progetto Migrations, blurring boundaries, and home-making: Anthropological analysis of the rituals/migrations nexus in Southern Italy (Prin 2017), che ha studiato il rapporto tra rituali e migrazioni tra gli Srilankesi in Sicilia e nel Sud Italia.

Per spiegare il ruolo ricoperto dal sacro nei luoghi della diaspora srilankese, la prof.ssa Mara Benadusi ha menzionato, per esempio, il culto di Santa Rosalia a Palermo: «Tamil induisti e cattolici si relazionano al culto di Santa Rosalia per sviluppare forme che uno degli antropologi intervenuti al convegno, Eugenio Giorgianni, chiama di “cittadinanza devozionale”, cioè la devozione viene utilizzata per cercare riconoscimento all’interno di un contesto locale che non sempre mette l’altro nella condizione di essere accolto e pienamente integrato».

Un momento dei lavori del convegno

Un momento dei lavori del convegno

La condivisione non avviene però solo tramite culti e rituali, può avvenire anche tramite il dolore, come ha precisato Stefania Mazzone, docente di Storia delle dottrine politiche dell’Università di Catania, citando l’antropologa e femminista srilankese Malathi de Alwis.

«Rispetto al conflitto in Sri Lanka – spiega la docente - Malathi sosteneva il Fronte delle Madri, ovvero un movimento di madri che perdevano i figli da entrambe le parti in questa guerra e si esprimeva non in modalità politica, ma in modalità emotiva: con pianto, sofferenza, dolore. Riprendendo una femminista occidentale, Judith Butler, Malathi sosteneva che da questa pratica femminista, anche inconsapevole, del Fronte delle Madri, può nascere un futuro paradossalmente costruito sul dolore comune, sulla condivisione del dolore».

Quello che non viene mostrato è che questa condivisione avviene anche in Israele ed in Palestina. «Anche lì abbiamo un movimento di madri e di donne che, insieme alle Donne in Nero, dagli anni Ottanta fino ad oggi, sono donne contro la guerra, le Guerriere per la Pace - continua la prof.ssa Stefania Mazzone -. Si tratta di movimenti trasversali di donne israeliane e palestinesi che, nonostante quello che sta accadendo continua, e proprio nel comune dolore, continua ad essere unito. A partire da questa sofferenza femminile comune, a partire della "morte del figlio", questo dolore comune può essere la costruzione di un futuro di vita».

È quindi di fondamentale importanza, come ha ribadito la prof.ssa Mara Benadusi, un approccio capace di ricollocare il quotidiano nell’analisi della violenza, specialmente in contesti di guerra, perché può aiutarci a comprendere come in gioco non ci siano solo fazioni avverse, una contro l’altra armate, ma anche fattori storico-politici e culturali complessi, che a volte fanno scalare la conflittualità a livello locale, mentre altre favoriscono forme di condivisione come quelle di cui si è discusso nel convegno.

Un momento dell'intervento della prof.ssa Stefania Mazzone

Un momento dell'intervento della prof.ssa Stefania Mazzone

«Anche in contesti di conflitto, può succedere che le persone continuino a frequentare gli stessi luoghi di culto, a mangiare insieme o a contrarre matrimonio – ha spiegato la prof.ssa Mara Benadusi -. Né possiamo scordare che ci sono parti a tutti gli effetti coinvolte dai conflitti le quali non ricevono la stessa attenzione. Di cui quindi noi sappiamo molto poco, che finiscono per essere invisibilizzate».

«In Sri Lanka, per esempio, sotto la tensione più importante tra Tamil e Singalesi che ha causato la guerra civile, si sono espresse e sono ancora presenti conflittualità meno visibili, che si sono riverberate sia nelle dinamiche del conflitto sia nel periodo post-bellico. Pensiamo ad alcuni accadimenti recenti, come gli attacchi contro i Cristiani avvenuti nella Pasqua del 2019», spiega la prof.ssa Benadusi, «che hanno determinato un’escalation di macro e micro conflittualità verso i musulmani e perfino tra musulmani».

«Come ricostruire dunque un dialogo? Il dialogo c’è e può partire dal femminile, dalla sofferenza comune delle madri», sostiene Stefania Mazzone. 

Come ha affermato don Carlo Palazzolo, direttore della Fondazione Migrantes di Catania, «se dobbiamo parlare di dialogo, dobbiamo considerare che il dialogo non avviene tra regioni intese come massimi sistemi, come istituzioni, ma quando si parla di dialogo in contesti specifici, con un’architettura della fede differente, l’incontro avviene tra le persone, che vivono le stesse gioie, le stesse speranze e preoccupazioni».

«Tuttavia l’accoglienza e l’integrazione non implicano la rinuncia alla propria identità, culturale o religiosa – ha spiegato don Carlo Palazzolo. Bisogna soffermarsi sul presente in cui viviamo, che vede convivere negli stessi spazi fedi differenti con visioni del mondo diverse. Quando parliamo di dialogo interreligioso è importante ricordarlo; la visione del mondo si esprime con riti, linguaggi, categorie concettuali, simboli, esperienze, valori e regole di vita, ma bisogna tenere a mente anche i contesti, cioè i luoghi dove la religiosità è vissuta dagli attori coinvolti nel dialogo».

Un momento dell'intervento di don Carlo Palazzolo

Un momento dell'intervento di don Carlo Palazzolo

Ad aprire i lavori del convegno e dare il benvenuto agli ospiti internazionali il rettore Francesco Priolo e la prof.ssa Pinella Di Gregorio, direttrice del Dipartimento di Scienze politiche e sociali. 

Nei loro interventi hanno evidenziato come il tema della convivenza tra popoli sia stato condizionato il più delle volte da conflitti bellici così come anche oggi assistiamo a numerose guerre in tutto il mondo, in molte occasioni in “nome” delle diversità religiose che si innestano con le questioni socio-politiche.

«Il tema del convegno, dunque, è più che attuale e partendo dalla violenza della guerra civile che ha insanguinato negli ultimi anni lo Sri Lanka sarà approfondito il ruolo che le religioni hanno avuto e posseggono tuttora nell’attuale scenario srilankese», ha chiarito nel suo intervento il rettore.

«L’attenzione che in questo convegno viene data alla realtà srilankese, un Paese che sta lentamente uscendo da una crisi economica, sociale e politica di ampia portata, culminata nelle dimissioni del presidente Gotabaya Rajapaksa nel 2022, è motivata da un ormai consolidato interesse di ricerca che verte su questo contesto dell’Asia meridionale da parte della prof.ssa Mara Benadusi, che negli anni ha dato avvio a diversi programmi di ricerca e di cooperazione inter-universitaria con lo Sri Lanka», hanno precisato sia il prof. Francesco Priolo, sia la prof.ssa Pinella Di Gregorio.

Tra l’altro a Catania, come in altre città siciliane, la comunità srilankese rappresenta oggi una della nazionalità più cospicue radicate sul territorio e nelle giornate del convegno è stata organizzata una tavola rotonda che ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle comunità religiose locali, sia la cappellania srilankese a Catania, nella figura di don Duminda Suresh, sia i rappresentanti dei due templi buddisti in città, Saman Rathnayake del tempio Theravada di via Nicolò Giannotta e Muthunamagonnage Ranil Prasad del Mahamevnawa Buddhit Monastery in zona Piazza Maria del Gesù.

Francesco Priolo, Pinella Di Gregorio e Mara Benadusi

In foto da sinistra Francesco Priolo, Pinella Di Gregorio e Mara Benadusi