L’Auditorium del Monastero dei Benedettini ha ospitato Francesco Costa, prossimo direttore del giornale online “Il Post” e autore del podcast “Morning”
Il Monastero dei Benedettini, con la sua aura di storia e cultura, ha accolto ancora una volta uno dei protagonisti più emergenti del panorama giornalistico italiano, il nuovo direttore della testata Il Post, Francesco Costa. È la terza volta che l’esperto di politica e costume americani, percorre questi stessi spazi, consolidando un legame ormai stretto con il luogo.
L’obiettivo del giornalista catanese, all’inizio del convegno, è chiaro: andare oltre le consuete analisi politiche per toccare corde più intime e urgenti del nostro tempo, con uno sguardo attento sull’Italia e sull’America.
Ad accompagnare durante il dibattito il giornalista etneo, laureato in Scienze politiche all’Università di Catania, ma ormai milanese d’adozione, sono stati la direttrice del Dipartimento di Scienze umanistiche, Marina Paino, i docenti di Letteratura italiana, Giuseppe Palazzolo e Antonio Sichera, e la ricercatrice di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Claudia Cantale.
L’iniziativa – che ha richiamato numerosi studenti nell’Auditorium del Monastero dei Benedettini - ha rappresentato un’occasione unica per ascoltare Costa, il cui impegno giornalistico non solo offre una visione lucida e analitica degli eventi, ma stimola anche una riflessione critica sulle nostre certezze e sul nostro ruolo all’interno della società.
Il suo imminente passaggio a direttore de Il Post, il prossimo 19 aprile, non solo segna un nuovo capitolo per la testata, ma anche una sfida: quella di affrontare il futuro dell'informazione con una prospettiva sempre più consapevole del suo impatto nella comunità.

In foto da sinistra Marina Paino, Giuseppe Palazzolo, Francesco Costa, Claudia Cantale e Antonio Sichera
A dare il via al dibattito con la prima domanda è stato il docente Giuseppe Palazzolo che, sollevando il tema del pacifismo, ha chiesto quale dovrebbe essere il punto di partenza per una rubrica su questo argomento.
Francesco Costa, con una riflessione profonda, ha invitato a «considerare la realtà mai come un qualcosa che possa essere racchiusa in parole». Quest’ultime, secondo Costa, sono «etichette imperfette che, più che chiarire, spesso confondono». Prima di addentrarsi nel concetto di pacifismo, occorre partire dal termine pace, che apre una serie di interrogativi: Basta l’assenza di violenza per parlare di pace? Può esistere la pace senza la libertà? Se una persona non è libera, quel contesto può essere definito pace? E ancora… qual è la differenza tra pace e resa?
«Prendendo l'Europa come esempio - ha osservato il giornalista - il Continente per secoli è stato teatro di conflitti. Ma dopo la Seconda Guerra Mondiale, qualcosa è cambiato. Si è avuta coscienza che quella realtà non può più ripetersi. Da quel momento è nata l'Unione Europea, con l'intento di costruire una pace duratura, trasformando l'Europa da un campo di battaglia a un luogo di cooperazione».
«La lezione è chiara – ha aggiunto - la pace si fonda sul rispetto del benessere reciproco. La grande verità è che, in un mondo interdipendente, la vulnerabilità è inevitabile. Gli Stati Uniti e l’Europa sono stati a lungo collegati tra loro, se adesso si può essere colpiti con i dazi o altri provvedimenti, o meglio se un Paese sfrutta questa vulnerabilità di un altro, invece, di valorizzarla, non si resta più alleati, ma si diventa avversari. E se la cooperazione cede il passo alla competizione, la pace si trasforma in guerra».

Un momento dell'intervento di Francesco Costa
Il vero obiettivo di Costa, quindi, non è fornire risposte definitive, ma viceversa quello di colmare i buchi stimolando riflessioni che permettano di distinguere tra la pace e la guerra, tra la pace e la resa, e capire, infine, quando la resa può essere meglio della guerra.
In occasione della Giornata Nazionale dell’Università, celebrata lo stesso giorno dell’incontro, la docente Claudia Cantale ha invitato a riflettere su un tema che ha immediatamente catturato l’attenzione degli studenti presenti in aula: quello che riguarda i pesanti tagli ai finanziamenti per la ricerca, la riduzione degli alloggi per gli studenti in difficoltà economica e la minaccia di revoca dei titoli di studio.
Un tema che riguarda da vicino anche la situazione delle università negli Stati Uniti, dove queste problematiche sembrano minacciare un pilastro sociale di primaria importanza. La docente si è interrogata sulle conseguenze di queste misure a breve e lungo termine per il sistema universitario americano.
«È un vero fronte di battaglia politica non nuovo per la storia dell’università – ha detto Costa -. Tante storie che riguardano non solo gli Stati Uniti, ma anche l’Europa, hanno visto nelle università un luogo di contrasto con il potere, soprattutto di tipo autoritario. Oltre a pronunciare sentenze, bisognerebbe anche provare a capire le cause di questa situazione».
«Le università americane più chiacchierate, Columbia o Harvard ad esempio, sono un piccolo gruppetto definite Ivy League, costituito dalle otto università più prestigiose del nord America – ha aggiunto -. Sono storicamente quelle più influenti, una fucina di cultura progressista. Se Trump prende queste come bersaglio è perché vuole abbattere quei nemici politici, quei luoghi in cui vede un contrasto al suo potere e quindi pensa in questo modo di potersene avvantaggiare».

Un momento dell'incontro
«Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è criticato nei circoli culturali, ma la sua azione continua – ha precisato Francesco Costa -. La crescente sfiducia nelle istituzioni accademiche permette a Trump di agire liberamente. Le università, che dipendono dai fondi pubblici, dalle rette e dalle donazioni private, temono le conseguenze di un'opposizione al governo, rischiando così la loro indipendenza. Una possibile soluzione potrebbe essere cercare finanziamenti esteri, ma questo solleva dubbi economici e ideologici, indebolendo ulteriormente il rapporto tra governo e università».
Algoritmi e intelligenza artificiale sembrano ormai influenzare nettamente le nostre idee, indirizzandoci verso ciò che ci sembra giusto ed eliminando così la distinzione di opinioni. A tal proposito, alla domanda del prof. Palazzolo, che ha chiesti in che posizione si colloca Il Post e quali sono le sfide per i docenti universitari, Francesco Costa ha sottolineato che «non abbiamo mai avuto tutte queste informazioni e non ci siamo mai sentiti così informati». «Ci sentiamo inseguiti dalle informazioni e per questo vogliamo chiuderci – ha aggiunto -. È un problema globale e la risposta arriverà grazie al contributo di università e giornali».
E parlando di piattaforme social, il giornalista ha evidenziato come «ormai la parte social non esiste più, abbiamo solo una serie infinita di contenuti con cui facciamo zapping infinito». «Ad ogni piattaforma lavora un gruppo di scienziati diverso il cui lavoro è cambiare l’algoritmo per allungare il tempo di utilizzo di un dato social – ha spiegato -. Per questo dobbiamo utilizzare mezzi non algoritmici per informare le persone».
Sull’intelligenza artificiale e la sua produzione di contenuti, Costa ha affermato che «in futuro avremo tante macchine potentissime in grado di produrre una montagna di contenuti indistinguibili dai prodotti umani».

Il pubblico presente nell'Auditorium del Monastero dei Benedettini
«Per un giornale la sfida è quella di rendersi utili e non farsi rimpiazzare dall’intelligenza artificiale – ha detto il giornalista -. Se, ad esempio, possiamo immaginare un futuro in cui questa cambi il finale di un film, è più difficile immaginare che questa possa sostituirsi all’atto di indagine. Eppure, non è qualcosa da demonizzare: l’intelligenza artificiale oggi può semplificare il lavoro di noi giornalisti, ma abbiamo comunque bisogno delle università e della ricerca».
In chiusura dell'incontro spazio alle diverse domande degli studenti. E sull’interrogativo posto in merito alla possibilità di un federalismo europeo in un contesto segnato da nazionalismi e veti, citando in particolare il caso di Orban, Francesco Costa ha risposto sottolineando che «mentre gli Stati Uniti sono una federazione con stati autonomi, ma leggi comuni, l'Europa affronta la difficoltà di integrare paesi con lingue, culture e storie diverse».
«Il processo di federalizzazione europea è ostacolato da scetticismo e dinamiche elettorali che riducono l'integrazione», ha evidenziato Costa sottolineando «l'importanza di rendere le istituzioni europee più efficaci e trasparenti per guadagnare fiducia».
«Sebbene ci siano difficoltà, il passare del tempo e le emergenze internazionali potrebbero accelerare il processo, presentando sia rischi che opportunità», ha aggiunto. In conclusione Costa ha parlato del duplice volto dell'Occidente, «con le sfide dell'intelligenza artificiale e dei social media che ridefiniscono l'informazione, mentre il giornalismo e l'università rimangono pilastri di autenticità». «L'integrazione europea e una governance più vicina ai cittadini – ha detto in chiusura il giornalista - rappresentano una speranza per un futuro più coeso».