Al Teatro Massimo Bellini è stata presentata l’opera dei registi Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi con musica di Francesco Cilea
Riportare alla luce la figura statuaria della donna-attrice Adriana attraverso le tematiche principali dei quattro quadri, con un focus sul tema dell’amore e sulla storia dello stesso libretto.
È stato incentrato su questi temi il “Preludio all’opera” dedicato allo spettacolo “Adriana Lecouvreur”, l’opera in quattro quadri su libretto di Arturo Colautti tratto dalla commedia di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé, con musica di Francesco Cilea.
Uno spettacolo che sarà in scena dal 25 marzo al 2 aprile al Teatro Massimo Bellini.
E proprio nel foyer del teatro (mercoledì 22 marzo), si è svolto uno degli appuntamenti del “Preludio all’opera”, il ciclo di appuntamenti organizzato dal Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania, che ha registrato gli interventi del direttore Fabrizio Maria Carminati e dei registi Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi ed, inoltre, delle docenti Graziella Seminara e Maria Rosa De Luca dell’Università di Catania.
A moderare l’incontro il musicologo e giornalista Giuseppe Montemagno.
«La decisione di riprendere questo libretto d’opera nasce dal profondo legame emotivo che lega i due registi a esso» ha spiegato Gavazzeni, evidenziando, in particolare, durante il ‘preludio’, come abbia ascoltato quest’opera sin da bambino, insieme con suo nonno, e di quanto ne sia rimasto presto affascinato.
Emerge un tributo non indifferente a Cilea, «uomo elegante e discreto che ha fronteggiato con grande dignità la fama e l’oblio» nelle sue esperienze lavorative, sia nel mondo del teatro «in cui ha dovuto gareggiare con dei titani dell’epoca», sia al conservatorio di Napoli.

Poster di Aleardo Villa per l'opera Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea
«Il libretto è molto appassionante, basato su una trama apparentemente semplice, ma che si complica nella dinamica degli accadimenti che si susseguono fino al IV atto» ha aggiunto il regista.
Centrale quindi è il tema dell’amore, declinato e vissuto attraverso tre diverse forme ed esperienze, ovvero quelle tra Adriana e Maurizio Ermanno (Conte di Sassonia), tra la principessa di Bouillon e lo stesso Conte di Sassonia e anche tra il direttore di scena Michonnet e Adriana.
In particolare, a quest’ultimo amore, non condiviso e nemmeno consapevole tra i due, è dedicato un momento di particolare delicatezza e profondità: il piccolo duetto del IV atto, in cui i due personaggi più che tra loro parlano a sé stessi.
«Michonnet è perdutamente e silenziosamente innamorato di Adriana, ma possiede sempre la sua dignità di uomo maturo, che accetta con una sofferente rassegnazione l’impossibilità dell’amore; mentre, al contempo Adriana, afferma “io ne morrò” dell’amore mancato per Maurizio» ci tiene a precisare Gavazzeni.
Oltre alla centralità dell’amore, nella regia a firma di Gavazzeni e Maranghi, è anche presente un’attenta ricostruzione scenografica, in cui spiccano l’estetica e i rimandi al Liberty primonovecentesco – periodo in cui è anche ambientata la vicenda – che trovano in alcuni dettagli il loro punto più elevato.
«I costumi scelti sono quelli della famiglia Florio; nel II atto la villa in cui si trova la Principessa di Bouillon è Villa Zingali Tetto in via Etnea a Catania. Nel III atto troviamo il fondale che riprende il salone delle feste di Villa Igea di Palermo, e infine, nel IV atto il fondale riprende il pavimento di Donna Franca Florio: petali di rosa su colore écru» aggiunge il regista.

Un momento dell'incontro nel foyer del Teatro Massimo Bellini
La scelta di ambientare Adriana Lecouvreur a Catania è stata fortemente voluta dai due registi, come spiega lo stesso Gavazzeni «per sottolineare il legame di Cilea con la città». «Del resto, si avvia alla musica classica dopo aver ascoltato in piazza, da una banda di paese, la Norma di Bellini e anche l’iscrizione al conservatorio di Napoli arriverà tramite la mediazione di un amico del padre di Cilea, che però fu anche amico di Bellini» aggiunge.
Ma il fil rouge di tutto il Preludio e dell’opera stessa in questione è indubbiamente il personaggio di Adriana: «donna passionale che ama, che vibra, ma che poi è in primis un’attrice. E in quanto tale nasce e muore da attrice, come ci mostra anche la sua gestualità teatrale» precisa il regista Piero Maranghi.
Quindi si tratta di «una testimonianza di una vicenda umana, artistica e di riscatto sociale, conclusasi tragicamente giacché Adriana viene avvelenata e dunque uccisa, probabilmente dalla principessa di Bouillon, gelosa della sua relazione con Maurizio, Conte di Sassonia; pertanto, Adriana morirà a causa dell’amore per quest’uomo» aggiunge.
Inoltre, Adriana è storicamente una grande attrice d’opera che per prima «imposta la declamazione scenica non cantata: una nuova impostazione della voce nel suo mestiere – continua il regista -. Quindi testimonianza vivente di un’ascesa sociale possibile per tutte quelle donne che rivoluzionano il loro lavoro».
È seguendo questa premessa che è possibile comprendere la scena d’apertura del I atto che si svolge nel foyer, dietro le quinte di un teatro, poco prima dell’inizio di una rappresentazione; qui Adriana «arriva in scena recitando e non cantando, prova la sua parte e non è soddisfatta, presentandosi al pubblico come ‘l’umile ancella del genio creator’» sottolineano i due registi.
Da questo punto di vista, Adriana e Cilea condividono lo stesso credo poetico; Cilea è un artista fedele che «chiama fedeltà», così come Adriana è un fragile strumento che verrà distrutto da un’idea di passione tipicamente francese della fin de siècle.