Continua la rassegna CineCut, nei giorni scorsi proiettati il corto “It’s ok not to be ok” e il film “L’odio”
Quarto appuntamento della rassegna Cine CUT con due film per una riflessione sull’esistenza di emozioni buie nell’essere umano e sul perché sia importante accettarle.
Martedì 16 maggio, infatti, gli studenti dell’Università di Catania hanno proposto la visione di due film: L’odio di Mathieu Kassovitz (1995) e il corto It’s ok not to be ok dello studente Anthony Cristaldi profondi spunti di confronto sul tema della rassegna, Eros e Thanatos, seguito dal dibattito finale con Alberto Andronico, docente di filosofia del Diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza.
Un momento del dibattito
"It’s ok not to be ok"
«Volevo normalizzare un’emozione che dalla società viene vista come negativa: la tristezza» ha spiegato Anthony Cristaldi, studente d’informatica e autore del cortometraggio It’s ok not to be ok, un inno all’accettazione di sé stessi, delle proprie emozioni e dei momenti più bui che la vita ci presenta.
In una società che non accetta il fallimento, come emerso durante la presentazione del filmato, la tristezza è un taboo perché ci rallenta, ci distrae da quello che sembra essere il nostro unico e solo scopo esistenziale: l’essere produttivi. In questo meccanismo culturale e sociale è un dovere trasmettere che non essere sempre in ottima forma, psicologicamente e fisicamente, è naturale, umano ed è, come suggerisce il titolo del corto, “ok”.
Il primo passo per accettarlo, come suggerisce il corto, è comprendere che «è una pessima giornata, non una pessima vita». Così attraverso le timbre emotive musicali, gli affetti e le sensazioni delle espressioni facciali, lacrime e sorrisi Cristaldi ha cercato di esprimere, come ha ribadito durante l’incontro, che è sempre preferibile accogliere una «tristezza vera» che una «falsa felicità».
Un frame del cortometraggio "It’s ok not be ok"
"L’odio (La Haine)" di Mathieu Kassovitz
La proiezione del cortometraggio è stata seguita dal film L’odio (La Haine) di Mathieu Kassovitz, produzione cinematografica del 1995.
La pellicola, in bianco e nero, prende spunto da un fatto realmente accaduto: l’omicidio di un ragazzo nella periferia di Parigida parte della polizia. Vinz, Hubert e Said interpretati rispettivamente dagli attori Vincent Cassel, Hubert Koundé e Said Taghmaoui sono tre ragazzi nati e cresciuti nei sobborghi parigini, le cosiddette banlieue.
I tre protagonisti vivono in un clima soffocato dalle risse, dalla povertà e dalla delinquenza.
Come ha ricordato il prof. Andronico, durante il dibattito finale, si tratta del «caratteristico buco di giustizia dei poteri democratici, nella quale la stessa giustizia è sospesa, in cui non si distingue il potere dello Stato dalla violenza, usando un termine tedesco la cosiddetta Gewalt, parola che indica sia il potere legittimo che quello illegittimo».
I tre giovani trascorrono tutto il giorno in strada senza alcuno stimolo. La palestra, dove Hubert si allenava con il sogno di diventare pugile, peraltro è stata distrutta. Una microsocietà in cui mancano le istituzioni, in cui non vi sono sani luoghi di aggregazione e cultura.
«Il problema di questi quartieri è l’assenza di servizi», ha sostenuto un partecipante alla rassegna, paragonando la tragica situazione che emerge dal film con quella che caratterizza i quartieri catanesi come Librino. La trama poi precipita, a un ritmo intenso, quando Vinz e Hubert accompagnano l’amico a Parigi per farsi restituire dei soldi da un ragazzo, che si rivela uno spacciatore di droga. Paradossalmente l’ambiente cittadino di una grande metropoli si rivela per i tre protagonisti ostile, più della stessa periferia che sentono, forse, come casa loro.
Durante la serata trascorsa in città i tre amici entrano in una galleria d’arte. Said vuole fare colpo su due ragazze, ma nel momento decisivo della scena riesce a chiedere loro solo il numero di telefono. Le due giovani rivendicano la voglia di conoscerlo, dialogando. Su questa scena, durante il dibattito, Andronico ha suggerito che L’odio «è un film stranamente senza parola, senza dialogo, c’è reattività, impulso non riflessione».
Un frame del film "L'odio"
I tre protagonisti vengono cacciati dalla mostra dal proprietario della galleria che, chiudendo loro la porta, mormora: «il disagio delle periferie!».
Questo passaggio ha sollevato uno snodo nel confronto importante: pur essendo a conoscenza della condizione in cui vivono numerosissime persone nei quartieri più poveri delle nostre città, non possiamo far altro che ammettere quanto, in realtà, siamo lontani dalla totale comprensione di quest’ultime. Esse per essere comprese devono essere vissute o perlomeno essere osservate dall’interno.
Vinz, Hubert e Said ritornano in periferia, la loro periferia, ma, si sa, un istante può cambiare tutto, un finale aperto, che sembra rappresentare il risultato di un’escalation in cui l’odio alimenta odio. Il film ci muove così verso il profondo Thanatos come pulsione distruttiva e di morte.
Come dirà però il protagonista: «Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: «Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio.»
Il Cine CUT ideato dagli studenti per gli studenti e il pubblico catanese vi aspetta per l'ultimo appuntamento venerdì 26 maggio alle 20:30 con Fight Club (1999) di David Fincher.