La pioniera della biologia marina è stata ricordata per le sue ricerche innovative su animali marini e terrestri in un incontro al Palazzotto Biscari
Dagli acquari alle ricerche di un tempo e di oggi sui cefalopodi in un affascinante incontro tra mitologia e storie di scienziate come Jeannette Villepreux Power.
Un connubio perfetto che, venerdì pomeriggio, ha richiamato numerosi esperti del settore, studenti e soci dell’Accademia Gioenia all’incontro organizzato al Palazzotto Biscari dal titolo "Le donne dell’Accademia: Jeannette Villepreux Power (1794-1871)".
Un’iniziativa nata nell’ambito delle attività celebrative previste per il bicentenario dell’accademia catanese e incentrata sulla figura di Jeanne Villepreux-Power, pioniera della biologia marina e, in particolar modo, inventrice dell'acquario e della sua applicazione sistematica allo studio della vita marina.
Un titolo che è stato attribuito alla scienziata francese nel 1834 dal professore Carmelo Maravigna con un articolo del Giornale Letterario dell'Accademia Gioenia di Catania.
Un momento dell'incontro al Palazzotto Biscari, sede dell'Accademia Gioenia
«È stata la prima donna membro dell’Accademia Gioenia, una delle poche, in tutto erano cinque, nel primo secolo di storia dell’associazione fondata nel 1823», ha spiegato Antonietta Rosso, docente del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania in apertura del suo intervento dal titolo Vita, ricerche e rapporti di Jeannette Villepreux Power con l’Accademia.
«Di origini francesi, la scienziata si è trasferita a Messina, dove ha vissuto per quasi 25 anni, al seguito del marito, il mercante inglese James Power. Non ha mai vissuto a Catania, ma aveva preso contatti con le accademia e associazioni naturalistiche e scientifiche presenti allora in Sicilia e non solo, come ad esempio la London Zoological Society – ha aggiunto -. L’Accademia Gioenia l’ha accolta immediatamente per le sue ricerche innovative su animali marini, tra cui l’Argonauta argo, e anche perché nel 1832 realizzò il primo acquario per svolgere attività di ricerca su organismi acquatici».
«Proprio l’Argonauta argo è una specie su cui ha concentrato buona parte delle sue ricerche grazie anche al fatto che viveva Messina, uno specchio di mare in cui il mollusco cefalopode era molto presente. Non a caso i pescatori lo trovavano facilmente e in grande quantità. Da allora si era aperto un grande dibattito sul fatto se la conchiglia fosse prodotta dal mollusco stesso oppure no. Qualcuno pensava che la conchiglia appartenesse ad altri organismi, un po’ come fanno i paguri con le conchiglie dei Gasteropodi», ha raccontato la docente catanese.
«Ancora oggi ci sono tante cose da scoprire sull’Argonauta argo, figuriamoci 200 anni fa – ha continuato -. Jeannette Villepreux Power ha lavorato molto basandosi sulle osservazioni di numerosi organismi marini, in particolar modo i molluschi, più facili da prendere e da osservare all’interno di acquari che lei stessa realizzava e progettava».
Jeanne Villepreux-Power, fotografata nel 1861 da André-Adolphe-Eugène Disdéri
«È stata una pioniera di acquari da mettere nei vari studi di ricerca che allora si chiamavano gabinetti per l’osservazione diretta degli organismi sotto vetro – ha precisato la prof.ssa Antonietta Rosso -. Ha realizzato anche acquari da ancorare in mare, vere e proprie gabbie che lei ispezionava personalmente per capire cosa succedeva al suo interno con il prezioso aiuto dei pescatori locali».
Proprio a Jeannette Villepreux Power è stato attribuito il merito di aver sviluppato i principi di acquacoltura sostenibile in Sicilia attraverso cui studiava molluschi e i loro fossili occupandosi anche della conservazione.
La città di Messina, in cui la “scienziata” inventò l’acquario, ha intitolato proprio a Jeannette Villepreux Power l’acquario comunale e nel 1997 il suo nome è stato dato anche a un cratere di Venere scoperto dalla sonda Magellano.
Ma Jeannette Villepreux Power rappresenta anche «quel piccolo stuolo di coraggiosissime donne che lavoravano in questi ambiti che allora erano prettamente maschili», ha evidenziato la prof.ssa Antonietta Rosso. «Ricordarla oggi rappresenta un esempio per le nostre giovani ricercatrici, di non arrendersi mai e di lavorare in modo rigoroso così come lei ha fatto con grande perseveranza 200 anni fa», ha aggiunto in chiusura del suo intervento.
La prof.ssa Antonietta Rosso
E proprio su Argonauta argo è intervenuto Fabio Crocetta, ricercatore e biologo marino del Dipartimento di Ecologia moderna integrata della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli.
«È una figura mitologica, ma soprattutto un mollusco che ha richiamato l’attenzione di naturalisti e ricercatori. Abbiamo scoperto tanto in questi 300 anni, il futuro è quello di scoprire ancora tante cose perché ad oggi, nonostante il fatto che sia nativa dei nostri mari ed è presente da sempre, conosciamo ben poco», ha aggiunto nel corso della sua relazione dal titolo Argonauta Argo tra presente, presente e futuro.
Argonauta argo, infatti, è un polpo pelagico che da sempre ha affascinato naturalisti e scrittori. Non a caso è stato definito il mollusco “più romantico” per i suoi lunghi viaggi per mare.
Basti pensare che è presente sulle ceramiche risalenti al 3000 a.C. e, inoltre, è il protagonista di diversi poemi, come gli Argonauti che guidati da Giasone, a bordo della nave Argo, andarono alla riconquista del vello d’oro oppure al romanzo Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne.
«Si tratta di una specie difficilmente campionabile, non abbiamo mai visto come avviene ad esempio la riproduzione, un vero e proprio mistero zoologico o, meglio, lo è per il suo organo riproduttivo rimovibile. È una particolare specie di ottopode tra i campioni assoluti di dimorfismo sessuale», aggiunge il biologo marino.
«I maschi di Argonauta argo sono tendenzialmente piccoli, mentre la femmina misura 15-20 centimetri e può arrivare fino ai trenta. Si specula che il maschio si approcci tramite un braccio modificato e poi fugge per non essere mangiato. Ma anche su questo passaggio non c’è alcuna certezza», ha raccontato Fabio Crocetta.
Proprio nel 2021 Argonauta argo, grazie alla candidatura presentata dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn, si è aggiudicato il riconoscimento internazionale di Mollusco dell’anno “vincendo” il sequenziamento del genoma da parte del LOEWE Centre for Translational Biodiversity Genomics (TBG) del Senckenberg Research Institute and Natural History Museum di Francoforte.
«Sono tanti i misteri attorno ad Argonauta argo – aggiunge il ricercatore -. Nel tempo abbiamo scoperto la presenza di cefalopodi di alieni come una specie imparentata con Argonauta Argo, il Tremoctopus gracilis, arrivato dal Mar Rosso, ma ormai ben stabilizzata nelle nostre acque. Tra i polpi pelagici esistono specie aliene, ovviamente non sono invasive e dannose come il granchio blu. Purtroppo di queste specie pelagiche non riusciremo mai a capire il numero perché è impossibile effettuare un censimento ottimale».
Un esemplare di Argonauta argo (foto di Marco Gargiulo)
E proprio sulle ricerche sui cefalopodi è intervenuto Graziano Fiorito, direttore del Dipartimento di Biologia ed evoluzione degli organismi marini della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli.
«Da anni siamo concentrati sullo studio del mollusco cefalopode Octopus vulgaris per indagare come il circuito neurale controlla comportamenti complessi, la plasticità biologica e l’apprendimento individuale e sociale. Stiamo cercando di capire come modifica il proprio comportamento in modo attivo. I polpi sono invertebrati, molluschi non molto diversi dalle cozze e dalle vongole, ma rappresentano un modello unico in quanto sono animali molto sofisticati per la flessibilità comportamentale comparabile con quella dei vertebrati superiori», ha spiegato il ricercatore.
«Il nostro gruppo di ricerca promuove le buone pratiche applicate al benessere animale nella ricerca scientifica e non a caso i polpi sono gli unici, tra gli invertebrati, ad essere inclusi nella direttiva sulla sperimentazione animale che regola l’impiego degli organismi per la loro senzienza. Vogliamo capire la capacità di percepire il dolore e il danno a qualunque stress. Ma anche come sia possibile che un animale molto lontano da noi abbia questa capacità di essere senziente e cosciente anche se da un punto di vista primario», ha aggiunto Graziano Fiorito.
«Non è una specie a rischio se non per mano dell’uomo – aggiunge sorridendo -. I cefalopodi sono animali plastici per cui non vanno incontro a particolari rischi, anzi è il granchio blu, ad esempio, che rischia in un eventuale incontro col polpo. Anche se il polpo è un animale molto selettivo, tende a mangiare tutto, ma solo prodotti di qualità. Se la cozza, uno dei suoi “piatti” preferiti, ad esempio, non è di qualità o è stata lavata per il consumo umano, il polpo non la mangia».
Un esemplare di Octopus vulgaris
I lavori sono stati introdotti dal presidente dell’Accademia Gioenia, il prof. Daniele Filippo Condorelli. E proprio in apertura il prof. Salvatore Sortino ha ricordato la figura di Giuseppe Condorelli, past preside dell’allora Facoltà di Farmacia tra il 1990 e il 1996.
«Un docente che da preside ha caratterizzato la vita della facoltà e punto di riferimento per la Chimica a Catania che allora si svolgeva in quattro istituti diversi», ha detto il prof. Salvatore Sortino, uno degli allievi di Condorelli.
Laureato a Catania a 23 anni, Condorelli ha proseguito il percorso accademico e dal 1975 ha insegnato Chimica generale e inorganica nell’ateneo catanese. «Ha svolto l’intera carriera accademica fino al 2005 a Catania, ma per un breve periodo ha tenuto un insegnamento del corso in Scienze erboristiche nella sede decentrata di Siracusa – ha aggiunto il prof. Sortino -. Si trattava del corso di laurea antesignano della laurea triennale in Scienze farmaceutiche applicate».
Il prof. Salvatore Sortino